Catanzaro, la sua vita imprenditoriale ed economico-sociale, l’idea che questa città sia stata o sia (così com’è stato detto per tanto tempo, anche sul piano politico) un’isola felice rispetto alla drammaticità del fenomeno mafioso in Calabria, inchieste della magistratura e attività di polizia che invece svelano una realtà del capoluogo tutt’altro che immune da condizionamenti di natura ’ndranghetistica, con particolare riferimento alle cosche del Crotonese ed ai loro riferimenti locali. Un campanello d’allarme rispetto a una situazione generale oggettivamente non facile e da meglio interpretare è stato suonato, nel maggio scorso, con l’interdittiva antimafia che ha colpito una delle imprese edili più importanti della città, guidata dal giovane Alessandro Caruso. Un’impresa, quella di Caruso, impegnata su molti fronti anche in riferimento ad appalti pubblici.
E, soprattutto, con un Alessandro Caruso presidente di Ance Catanzaro, cioè leader dei costruttori che rappresentano una parte consistente del sistema confindustriale della Città dei Tre Colli. Ma il presidente dell’Ance, a Catanzaro, è anche vice presidente vicario di Confindustria, così come tuttora si legge sul sito ufficiale dell’associazione di categoria cliccando nella sezione Ance o consultando l’elenco delle cariche sociali. Confindustria Catanzaro (sede territoriale di Unindustria Calabria) guidata da qualche anno da Daniele Rossi (nella foto), imprenditore del settore alimentare e turistico, ha comunicato diverse volte attraverso la voce del presidente Ance, sollevando questioni di natura pubblica e imprenditoriale, così come attestano altrettante note stampa ufficiali. Il rapporto tra Confinsutria Catanzaro e Ance è quindi molto stretto, anche se ovviamente i due aspetti (quello dell’attività di categoria e quello della cosiddetta interdittiva antimafia alla Caruso Costruzioni) stanno su due piani diversi e viaggiano autonomamente. Lo stesso Caruso con una nota dell’8 maggio scorso, che richiameremo da qui a breve e che è stata diramata dai consueti canali di Confindustria Catanzaro, ha rassegnato in modo irrevocabile le proprie dimissioni “da presidente di Ance Catanzaro e dalle cariche associative”. In uno Stato democratico qual è l’Italia, è corretto sottolinearlo a voce alta: chiunque ha diritto di difendersi secondo i princìpi dettati dalla Costituzione repubblicana e di utilizzare fino in fondo, quindi, ogni strumento messo a disposizione dalle leggi vigenti, sia sul fronte della giustizia amministrativa (è il caso specifico della menzionata interdittiva), sia di quella civile ed eventualmente penale. Nessun giudizio affrettato, pertanto, né volontà di trarre conclusioni anticipate rispetto al naturale evolversi della vicenda nelle sedi opportune.
Per capire, però, quanto rumore abbia fatto il provvedimento assunto nei confronti della ditta catanzarese, citiamo qualche brano del lungo articolo pubblicato su “IlFattoQuotidiano” il 5 maggio scorso, a firma di Lucio Musolino: «La società del presidente dei costruttori bloccata dall’interdittiva antimafia. Succede a Catanzaro, dove la prefetta Francesca Ferrandino – si legge testualmente – ha preso la decisione dopo tre accessi in tre cantieri della città (…). L’interdittiva è scattata in particolare dopo che in un’inchiesta sono emersi contatti tra la Caruso Costruzioni, società di Alessandro Caruso (presidente locale dell’Ance) e i clan di Isola Capo Rizzuto e di Cutro. L’impresa del presidente dell’Ance (che potrà ricorrere al Tar contro l’interdizione) aveva ricevuto il parere favorevole del ministero delle Infrastrutture per i lavori del nuovo Palazzo di Giustizia di Locri e ha vinto l’appalto per la ristrutturazione della questura di Catanzaro per un valore di circa un milione e 600mila euro». «Secondo la prefettura – aggiunge l’autorevole quotidiano – per l’impresa si profila “una condizione di potenziale asservimento (o comunque condizionamento) rispetto alla criminalità organizzata. Emergono – si legge – concreti e attuali elementi da cui risulta che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”».
Ritorniamo ora ad Alessandro Caruso che nella sua lettera di dimissioni dell’8 maggio scrive: «A seguito della notifica di un informazione di carattere interdittivo da parte della prefettura di Catanzaro nei confronti della Caruso Costruzioni SpA di cui sono legale rappresentante, ho ritenuto opportuno rassegnare al Consiglio Direttivo le mie immediate e irrevocabili dimissioni da presidente di Ance Catanzaro e dalle cariche associative […]. Esprimendo piena fiducia nella magistratura, impugnerò in sede giurisdizionale amministrativa il provvedimento interdittivo, nella consapevolezza della legittimità e della correttezza che da sempre contraddistingue la mia condotta personale e le attività delle mie imprese. Tuttavia, a tutela del buon nome e dell’onorabilità dell’Associazione e per evitare strumentalizzazioni della carica, ritengo opportuno concludere la mia esperienza alla guida della prestigiosa associazione che ho avuto l’onore di presiedere in questi anni». In chiusura Caruso aggiunge: «Oggi, come sempre, mi sento di esternare i miei profondi sentimenti di avversione e ripudio per i fenomeni di criminalità che ho sempre contrastato anche in prima persona sporgendo decine e decine di denunce presso gli organi preposti per gli atti vandalici, i furti e le intimidazioni subite». Questa lunga citazione della lettera di dimissioni di Alessandro Caruso dagli incarichi associativi è voluta per ribadire ancora una volta come nessuno intenda trarre giudizi sommari né alimentare atteggiamenti di natura demagogica.
Fatte queste premesse resta però da chiedersi: perché Confindustria Catanzaro non ha avviato un ampio, articolato e approfondito confronto pubblico all’indomani del caso-Caruso, magari invitando i più autorevoli rappresentanti delle istituzioni, della politica, delle categorie sociali e dell’informazione? Il presidente Daniele Rossi non avrebbe fatto bene – sempre nel pieno rispetto dei diritti costituzionali di ognuno – a convocare, anche in più tappe, momenti alti di dibattito pubblico per parlare della situazione di Catanzaro e dei possibili condizionamenti mafiosi nell’imprenditoria e nella vita economico-sociale? L’argomento è serissimo ed è prioritariamente su temi strategici come questi che si misura la reale volontà o possibilità di incidere sul territorio da parte di un’associazione di categoria fondamentale, qual è Confindustria, senza ovviamente nulla togliere a tutta un’altra serie di attività istituzionali che rientrano nell’alveo della normalità. Confindustria è stata ed è, a Catanzaro come in altri luoghi, con il suo ruolo, con i vari incarichi dei suoi massimi esponenti, con la sua partecipazione attiva alla vita economico-sociale del territorio, il fulcro o uno dei riferimenti significativi di tante scelte strategiche, di decisioni che hanno costruito una parte importante della storia della città. Confindustria Catanzaro quindi farebbe bene, ferme restando le dimissioni di Caruso e tutta la presumibile lunga evoluzione giurisdizionale del caso, a rendersi protagonista di una discussione profonda e ben calibrata sulla città capoluogo, sul suo presente e sul suo futuro. Il presidente Daniele Rossi, che riveste pure il ruolo di guida della Camera di Commercio, partendo anche da questa vicenda avrebbe dovuto soffermarsi pubblicamente in modo assai attento sulle condizioni economico-sociali di Catanzaro, sollecitando così riflessioni collettive non rituali che non possono essere rinviate o non avere il giusto livello d’ascolto in ambito locale e nazionale.
(Montecristo junior)