Per 30mila euro, sarebbe stati loro, dunque, ad ordinare l’uccisione del giovane macellaio per via di vecchie ruggini tra le rispettive famiglie. Ruggini trasformatesi in odio vero e proprio, alimentato da ragioni economiche. In particolare, scrivono i carabinieri, dopo un’accesa lite avvenuta nel 1999 con il padre del macellaio ucciso, Russo avrebbe maturato l’idea di privare l’uomo dell’affetto del figlio. E qui sarebbe entrato in gioco Mauro, dipendente e factotum nella ditta di tornitura di Evangelista Russo, che – eseguendo le volontà del suo datore di lavoro – avrebbe commissionato l’esecuzione del delitto a Danilo Monti e ai suoi fiancheggiatori, per un cifra pattuita in 30mila euro e fornendogli l’arma del delitto.
Così Francesco Rosso, 35 anni, era stato ucciso con tre colpi di pistola al volto ed al torace mentre era al lavoro nella sua macelleria. Nell’operazione, che avevano denominato “Quinto Comandamento”, i Carabinieri avevano arrestato Danilo Monti in qualità di esecutore materiale; Gregorio Procopio, Antonio Procopio e Vincenzo Sculco quali suoi fiancheggiatori.
La ricostruzione degli inquirenti è stata suffragata dalle dichiarazioni rilasciate proprio da Monti dopo il suo arresto.