Ieri, durante il question time alla Camera, Giorgia Meloni ha detto che sul naufragio di Cutro, finora 86 morti accertati, la coscienza del governo è a posto. Poi ha aggiunto di sperare che lo sia anche quella di chi l’attacca, ovvero, delle opposizioni, che a suo giudizio stanno calunniando l’Italia ed mettendo in discussione l’operato di chi rischia la vita ogni giorno per salvare vite umane. La strategia è sempre la stessa: polarizzare lo scontro e contrattaccare per ribaltare il piano delle responsabilità.
Stamattina la leader politica donna, mamma, eccetera ha ricevuto a Palazzo Chigi superstiti e parenti di quelle vittime alle cui bare sei giorni fa non ha avuto tempo, o voglia, o coraggio, vai a sapere, di dedicare un momento, un omaggio, fosse pure solo formale, una preghiera, ovviamente cristiana. Dopo la sfida lanciata chiedendo se davvero qualcuno pensava che il governo si fosse voltato dall’altra parte senza evitare la tragedia, il suo sconcerto, i suoi occhi sbarrati di fronte alla richiesta incalzante del motivo di quella che è apparsa, a tutti gli effetti, una fuga hanno interdetto anche il suo elettorato più feroce. Le sarebbe bastato percorrere una quindicina di chilometri per una photo opportunity che avrebbe tappato la bocca di chi le si oppone e salvare le apparenze, una mano da stringere, un bambino da accarezzare.
La verità, cruda, non controvertibile, è che su quei corpi inermi dei quali ora si finge di avere compassione più di qualcuno ha costruito le proprie fortune elettorali e politiche, a destra come a sinistra. La soluzione che il governo Meloni ha dato di fronte ad ogni difficoltà è sempre consistita nel rafforzare le misure punitive. Così anche nel decreto presentato a Cutro, aumentando le pene per gli scafisti, con in più la mirabolante promessa d’inseguirli lungo il globo terracqueo.
Il motivo per cui il governo non si è recato al PalaMilone è evidente: per anni i migranti sono stati descritti come nemici mortali, si è parlato di invasione, di flussi incontrollati, si è promossa la demenziale teoria della sostituzione di popoli. La stessa Meloni, nel 2016, aveva parlato di “disegno di sostituzione etnica”. Non potendo pronunciare le stesse parole per non rischiare la fuga dell’elettorato cattolico, il centrodestra ha usato le sue armi convenzionali. Dopo il naufragio di Steccato di Cutro, si è tentato di far diventare quelle vittime corresponsabili delle loro disgrazie. Quindi la fuga dalle bare allineate sul parquet e l’invito postumo a Chigi, pezza peggiore del buco. Il dubbio non è se il governo sia forte: piuttosto ci si chiede se sia capace di provare pietà, di compatire.
F.S.