“Le responsabilità penali che sono emerse da questa inchiesta riguardano personalmente gli indagati e non il sistema portuale di Gioia Tauro, che rappresenta un soggetto economico sano e legale non coinvolto assolutamente nelle indagini”. Lo ha affermato il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, nel corso della conferenza stampa a seguito dei 36 arresti avvenuti questa mattina nel porto di Gioia Tauro e del maxi sequestro di oltre 4 tonnellate di cocaina. L’operazione della Guardia di Finanza ha permesso di smantellare un’organizzazione internazionale dedita al traffico di droga dal Sud America alla Calabria. “L’importanza di quest’operazione – ha aggiunto Bombardieri – é quella di avere consentito di individuare un gruppo di operatori portuali stabilmente e sistematicamente al servizio di cosche di ‘ndrangheta per il trasporto e l’importazione di ingenti carichi di droga. È evidente che le nostre indagini non fanno sconti a nessuno, ma ci teniamo ad affermare la piena legittimità dell’operato del sistema portuale, che garantisce agli imprenditori onesti che operano nello scalo la possibilità di svolgere la loro attività in modo sana. Ciò non di meno, comunque, non possiamo nascondere che dello stesso sistema portuale facevano parte alcuni operatori che, in realtà, erano dediti quasi esclusivamente ad attività illegali”.
Tra i 36 arrestati, infatti, sono finiti in manette anche 14 operatori portuali. Si tratta di dipendenti delle imprese che operano all’interno del porto e della Mct, la società che gestisce il terminal. Dalla ricostruzione degli inquirenti é emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e dei container in cui era custodita la droga, l’importazione dello stupefacente passava attraverso la supervisione degli operatori portuali coinvolti. Questi ultimi, infatti, si attivavano affinché il container “contaminato” venisse sbarcato al momento opportuno e collocato in un’area “sicura”, appositamente individuata, per consentirne poi l’apertura e, quindi, il trasferimento della cocaina in un secondo container, che veniva poi fatto uscire dal porto grazie a un vettore compiacente portato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione criminale.
Mentre un dipendente dell’Agenzia delle dogane, anch’egli tratto in arresto, avrebbe alterato il risultato del controllo effettuato su un container tramite scanner, nel quale erano stati nascosti 300 chili di cocaina. Nello specifico, avrebbe alterato gli esiti della scansione radiogena effettuata su un container trasportato dalla nave Msc Adelaide, proveniente da Santos, in Brasile, e sbarcato nel porto di Gioia Tauro il 18 dicembre del 2020. Il dipendente dell’Agenzia delle Dogane, in cambio della sua complicità, avrebbe percepito, secondo quanto é emerso dalle indagini, una somma pari al 3% del valore dello stupefacente che era custodito nel container, stimato in quasi nove milioni di euro. A carico di Bruno, in particolare, è stato disposto il sequestro di beni per un valore di 261 mila euro.