Al termine di una conferenza stampa di quasi un’ora e mezza di durata i dubbi sulla tragedia di Steccato di Cutro restano intatti, anzi, se possibile aumentano e si fanno groviglio. Le spiegazioni della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non persuadono evadendo la questione principale, il rovello che da 13 giorni assilla osservatori privilegiati ed opinione pubblica, ovvero, il motivo del mancato intervento della Guardia Costiera che avrebbe potuto evitare la strage, od anche solo limitarne i catastrofici effetti. La lunga esposizione della premier, che ribadisce l’intoccabilità del ministro dell’Interno, Piantedosi, è una diga contro perplessità ed insinuazioni maliziose, una difesa della posizione del governo e del punto sull’impossibilità di evitare la tragedia. Ma quando, dopo un’ora filata via liscia, le domande, specie quelle dei giornalisti non iscritti nella short list degli interroganti abilitati, si fanno incalzanti, l’esercizio retorico di autodifesa (“ma voi davvero credete che non abbiamo fatto qualcosa che potevamo fare, che le istituzioni si siano girate dall’altra parte?”) non basta più, e la premier va in confusione, dando l’impressione di essere in difficoltà, anche perchè il neo capo dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, Mario Sechi, non riesce ad arginare l’onda, travolto perfino dal battagliero tentativo della leader del governo di esporsi e rintuzzare l’attacco, alzando la voce. Meloni confonde, anticipandola di due giorni, la data del naufragio, allarga a dismisura il limite delle acque territoriali italiane, sbaglia la ricostruzione sull’intervento di Frontex.
La contestazione nella piazza intitolata a Giò Di Bona era stata una cometa con una scia appena visibile, ma nel chiostro dell’ex convento riadattato a palazzo municipale il confronto si è fatto aspro come mai prima, nei quattro mesi e mezzo da quando il governo si è insediato. Ed alla fine, la Meloni lascia Cutro inseguita dai perchè sulla scelta di non invitare il sindaco di Crotone, Voce, e soprattutto sulla decisione di non recarsi a rendere omaggio alle bare ancora allineate sul parquet del PalaMilone, che costringe a diramare un comunicato in cui si annuncia che i familiari delle vittime verranno invitati a Palazzo Chigi mentre l’aereo che riporta la delegazione di governo a Roma si è appena alzato in volo. L’unica buona notizia è l’approvazione del decreto che inasprisce le pene per gli scafisti, aumenta le risorse a disposizione dei centri per i rimpatri ed agevola il commissariamento delle cooperative che si occupano di accoglienza dei migranti che si macchiassero di irregolarità od opacità di gestione, misure dietro le quali non c’è chi non intraveda la mano ed il ghigno di Salvini, che alla fine della giornata si prende la scena sottolineando che l’anno in cui si sono verificati meno sbarchi e ci sono stati meno morti e dispersi in mare è stato il 2019, quando, guarda caso, al Viminale c’era lui. Una rivincita inattesa per il leader leghista, che per il resto compulsa ossessivamente il telefonino, scuote il capo e fa la solita conta di buone intenzioni. Nei sondaggi, l’ultimo è di ieri, resta saldamente ancorata al 30%, ma nelle prossime settimane e dagli esiti delle due inchieste aperte sul naufragio capiremo se in quella tragica notte il mare calabrese, oltre ad inghiottire la vita di decine di persone, abbia anche incrinato la finora inaffondabile fiducia degli italiani nei confronti di questa premier e di questo governo.
Francesco Sibilla